Il delitto d’onore a Piazza Sanità

di Gerardo Ceres.

Come ogni sera, Pasqualina rimboccò le coperte ai due figlioli. Poi prese a prepararsi e a farsi bella, come ogni sera. Dalla pentola sul fuoco del camino, prese dell’acqua calda e si rinfrescò. Pettinò i suoi lunghi capelli neri e indossò la camicia da notte. Così avrebbe atteso l’amore di ogni sera.

Fuori la neve cadeva senza soste e un vento di gelida tramontana soffiava, abbattendosi con forza sull’uscio e le finestre della sua casa di Via Ogliara, alla confluenza di Via Zampari. Poco più in là, a trenta metri, la grande Piazza della Sanità. Nell’attesa, preparò una camomilla e la bevve, così da riscaldare il suo corpo infreddolito in quella sera di gennaio del mille novecento quarantatre.

Scattò dalla sedia appena sentì due colpi secchi alla porta. Si passò le dita prima sulle sopracciglia e poi tra i capelli. Si avviò alla porta, pregustando già i piaceri dell’amore notturno. Aprì e, con vivo e malcelato stupore, sconvolta, si ritrovò dinnanzi Nicola, suo marito. Questi allungò il braccio e, impugnando una pistola, sparò quattro colpi decisi al petto di Pasqualina.

Ebbe il tempo di cogliere negli occhi del marito la rabbia dell’uomo ferito e pieno di rancore. Fece in tempo a piegarsi in ginocchio e, senza parole, guardando verso la chiesa della Sanità, invocò la Madonna delle Sorgenti. Scivolò sugli scalini innevati della loggia di casa e arrivò, trascinandosi, al centro della strada, dove consumò il suo ultimo sospiro.

piazza sanitàNessuno diede la dovuta importanza a quegli spari. La piazza della Sanità e la via del cantiere dell’acquedotto erano occupate dall’accampamento dei soldati tedeschi della Wehrmacht. Chi sentì gli spari pensò a questioni tra commilitoni tedeschi.

Nicola, con freddezza coltivata al fronte dal quale era scappato per diserzione d’amore, svegliò i suoi due bambini, in gran fretta li rivestì e prendendoli in braccio lì portò a casa di una zia materna, cui spiegò sommariamente la ragione. Poi, piangendo, si recò frettolosamente alla caserma dei carabinieri per costituirsi e confessare il delitto.

Quando arrivarono i carabinieri trovarono il corpo di Pasqualina riverso a terra, carponi. Le gambe e il basso bacino di Pasqualina si confondevano tra la neve fresca. Verso la parte superiore del corpo il sangue aveva sciolto la neve.

Accorsero, poi, soldati tedeschi e diversi abitanti del luogo. Uno di questi, preso da pietà cristiana, andò a casa a prendere un lenzuolo così da coprire il corpo di Pasqualina, che rimase lì tutta la notte, fino al pomeriggio successivo, quando da Avellino giunse il giudice istruttore.

Il giudice, dopo aver esaminato la scena del delitto, si recò in caserma a raccogliere la piena confessione di Nicola Sibilia. Egli dichiarò di aver ricevuto, al fronte, una lettera di un cugino, con la quale lo si informava dei convegni notturni che Pasqualina intratteneva coi soldati tedeschi di stanza alle Sorgenti del Sele a presidiare, con le postazioni dell’anti-aerea, l’acquedotto.

Così decise che, mentre egli metteva a rischio la vita per la patria, quell’onta non poteva non essere lavata che col sangue. Non chiese attenuanti, Nicola, ma con la semplicità dell’uomo tradito e ferito, ma ora anche assassino, firmò la confessione senza batter ciglio e senza neppure richiedere la presenza di un avvocato di fiducia.

Il processo si svolse nelle settimane successive. Nicola venne condannato a 15 anni, con il riconoscimento dell’attenuante del delitto d’onore prevista dal codice Rocco. Fece solo tre anni di carcere, avendo poi potuto godere dell’amnistia del 1946, voluta dal Guardasigilli Palmiro Togliatti.

Di Pasqualina Sista, questo il suo cognome, ci resta il ricordo di una bellezza un poco spavalda e selvaggia, coltivata tra i vicoli di S. Lucia dove era cresciuta con la madre, ‘Ngiulina r’ Ardone. Una bellezza che si cristallizzò tra la neve di una notte di gennaio del 1943 quando, invece di assaporare i sospiri di un amore teutonico, trovò, per mano del marito, disertore d’amore, la morte violenta.

(Da molti anni questa storia mi viene ricordata ogni domenica mattina da un signore segnato da quella visione, lui all’epoca fanciullo, del corpo di Pasqualina sprofondato nella neve. Ma oltre alla visione della parte nuda del corpo di Pasqualina, questo signore, non è riuscito mai ad offrire altri particolari. Ma grazie ad Amato Merola, la cui memoria è viva e capace di offrire dettagli fondamentali, a Peppe Cifrodelli e a Peppe Curcio, sono riuscito a ricostruire questa storia delittuosa, che ho offerto ai miei amici nel 2014, nelle ore che precedevano l’inaugurazione della nuova Piazza della Sanità spazio che si apriva al luogo del delitto).

 

 

 

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