Michele Forte, il sindaco della gente

È trascorso esattamente un anno da quando Michele ‘il procuratore’ se n’è andato. Troppo presto a dire il vero, per un elenco fitto di progetti da realizzare, per la grinta e la passione che lo hanno sempre contraddistinto, ma anche per godere della soddisfazione di avere incassato l’ennesimo risultato. Un uomo che è stato al servizio della sua comunità come dirigente della Pubblica Amministrazione, come cittadino impegnato attivamente in iniziative sociali- in particolare per lo sport e il sostegno ai giovani- e, con il suo impegno politico che lo ha condotto in alcune fasi della sua vita a guidare le sorti della comunità del suo paese. Un impegno che oggi è fisicamente riconosciuto a lui dall’intitolazione del Palazzo degli Uffici, deciso dall’amministrazione in carica che ha succeduto al suo mandato. Michele Forte però era anche altro. Chi lo conosceva sapeva che la sua personalità era contraddistinta da un artificio: l’ironia mescolata all’umanità e alla forte passione. La sua etica lo portava a schierarsi sempre con gli ultimi e quelli più deboli con umiltà, facendo la voce grossa con i prepotenti. Anche se in una biografia ufficiale non comparirebbe, la sua capacità di dialogare con tutti e la sua disponibilità lo hanno reso popolare e presente in tutte le case del paese. La sua generosità è stata dimostrata all’indomani del terremoto, quando tornando a casa si è preoccupato di mettere in salvo prima la sua famiglia, per poi prodigarsi per salvare l’Ufficio del Registro con tutti i faldoni e le carte, e tenerlo aperto in una fase di emergenza in una sede non sicura. Sentiva su di sé la responsabilità non solo del padre di famiglia, ma anche di un ufficio che garantiva la presenza dello Stato in un paese decimato dalla furia della calamità naturale. Conquistò sul campo il ruolo di reggente dell’ufficio, fino ad assumerne la dirigenza negli anni, con un impegno e una dedizione tali da assorbire il soprannome di ‘procuratore’. Un anno dopo, bisogna dire che il vuoto da lui lasciato resta difficilmente colmabile, perché al di là delle tracce, cresce il rammarico per la perdita umana, per l’esempio di un uomo buono, onesto, innamorato della vita ma anche di quella degli altri. Questa statura però prosegue nell’educazione che ha dato ai suoi figli e ai suoi nipoti, ma anche a tanti amici e conoscenti; alle persone che lo hanno accompagnato anche per un breve tratto della sua vicenda umana, e che oggi (venerdì 27 aprile) vivranno un giorno triste nel ricordo di quello che è accaduto un anno fa, quando si è spento dopo una lunga malattia.

Ma Michele Forte non era un burocrate. Era un appassionato di calcio e un amante della vita. Lo sport di squadra era un fiore all’occhiello della sua personalità, che praticava attivamente con una miriade di amici, con il fratello e con i cugini. Il calcio era per lui una scuola di vita, per questo si è speso tanto da giocatore, quanto da promotore di una squadra calcistica e di una società, la Polisportiva Santangiolese. Oltre alle centinaia di fotografie, prima in bianco e nero e poi a colori che lo ritraevano in divisa calcistica, Michele Forte è negli annali dell’associazionismo sportivo. Fondò l’associazione all’indomani del terremoto, e nel 1982 fu promotore della celebre ‘gita calcistica a Coverciano’ sede del ritiro azzurro della Nazionale. Poi dal ’94 al ’99, anno in cui la Polisportiva subì la fusione con l’altra società esistente per convergere nella Giuseppe Siconolfi. La dedizione allo sport e all’associazionismo sono stati i pilastri del suo pensiero politico. Con la Polisportiva aveva raggiunto due obiettivi: quello di avere riunito intorno alla passione per il calcio decine e decine di giovani che si trovavano a crescere in un paese cantiere devastato dal terremoto, tappezzato da recinsioni e divieti; e si caricava della responsabilità di educare i giovani al rispetto delle regole, degli avversari e alla sana competizione. È così che ha conquistato la sua fama di popolarità: caricando decine di ragazzi su un pullman o nella sua macchina per partecipare alle trasferte fuori porta, trasmettendo loro passioni e entusiasmo.

La politica l’ha sempre fatta, ma a modo suo, fra la gente. Prima nel mondo dell’associazionismo, e poi da dirigente del pubblico impiego, aveva maturato la giusta sensibilità per monitorare i bisogni della collettività. La sua era una visione ampia e variegata, soprattutto perché chiunque gravitava nel suo campo era meritevole di essere ascoltato. Sosteneva che il termometro sullo stato di salute di un cittadino si misura sull’anello più debole. Era un moderato, un uomo di centro, un mediatore e un pacifista insieme. Era un uomo del fare che evitava le beghe politiche e si concentrava sull’obiettivo: arrivare ad una risoluzione del problema. La sua era una politica delle ‘piccole cose’ fatta di poca apparenza e tanta sostanza. Si è candidato sindaco la prima volta nel 1995, contro le liste di Vincenzo Lucido e di Rosanna Repole, con la vittoria di quest’ultima. Ci riprovò nel 1999, in una lista guidata da Enrico Fischetti, dove raggiunse un glorioso risultato, ma le elezioni furono vinte da Tonino Petito. Il suo momento arrivò nel 2008, quando fu eletto sindaco con una maggioranza ‘bulgara’ e portò alla sconfitta il consigliere regionale del Pd Mario Sena candidato nella lista avversaria.

Il suo mandato amministrativo ha coinciso con l’apertura della crisi economica: ha navigato al buio e senza riferimenti per mantenere ancorata la nave. Il suo è stato senza dubbio un quinquennio di profonda trasformazione e drastici ridimensionamenti. Senza azioni eclatanti ha reagito alle manovre sanitarie nazionali e regionali: se l’ospedale Criscuoli ha resistito al decreto 49 del 2010 è merito della sua battaglia. Ha sempre sostenuto argomentazioni concrete, declinate ai bisogni delle persone. Ha indossato la fascia tricolore con fierezza per la rappresentanza, ma anche per protestare all’ingresso del pronto soccorso richiamando l’attenzione di tutti i sindaci altirpini. Innumerevoli sono stati i colloqui con l’ingegnere Florio, ex commissario dell’Asl di Avellino, ma anche con Giuseppe De Mita, allora vice presidente della giunta regionale, per intercedere in favore del presidio. È stato il primo sindaco ad aprire le porte del Municipio ai giovani e a chiunque avesse voluto dare un contributo in favore dell’ospedale. Un invito colto da subito dal Forum dei Giovani, che proclamò un’assemblea permanente, raccogliendo contributi da istituzioni e cittadini.
E’ stato in prima linea per tentare di salvare il tribunale, un’attività che ha gli impegnato l’intero mandato, in termini di energie e di colloqui, elaborando le più dettagliate strategie per garantirne la permanenza. A nulla valsero le proposte candidate al Ministero della Giustizia, né al Dicastero delle Finanze. Con la chiusura del foro nel 2013, ebbe la certezza che il vento del cambiamento avrebbe stravolto l’anima del paese, e che la pura resistenza non sarebbe bastata. Ripeteva spesso che era arrivato il momento di reinterpretare il mondo, per fermare lo svuotamento e ridisegnare l’esistente.

È stato in prima fila per sostenere l’industria. Da sempre al fianco della Ferrero, che lui stesso elogiava come fiore all’occhiello dell’industria altirpina, e indicava come esempio da emulare per promuovere una nuova stagione dell’industria collegata al territorio e alle produzioni tipiche. Aveva il cruccio della zootecnia. Predicava la necessità di valorizzare le risorse endogene per produrre ricchezza. Ha spesso alzato la voce ai tavoli sovracomunali per l’occupazione: “Noi sindaci sosteniamo l’apertura di nuove industrie, ma gli imprenditori devono suggellare un patto con il territorio e garantirci l’assunzione dei giovani del posto” diceva. C’è un elenco fitto di opere avviate, tra tutte il campo sportivo. Ognuna di loro è la sintesi di richieste espresse, strette di mano, pacche sulla spalla. È stato il sindaco della gente, e il suo modello continua e vive nella comunità. A Michele Forte, che Anna e Gaetano descrivono come “un esempio di vita, e un uomo di valore”.

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